Agnatio.
AGNATIO Nel diritto romano era il vincolo di parentela fra tutti i discendenti in linea maschile da un pater familias, in contrapposizione alla parentela naturale, comprendente i parenti in linea femminile (cognatio). La trasmissione per via maschile era presente anche nella cultura dei popoli germanici. Ma solo nell'XI secolo le famiglie aristocratiche europee passarono a una rigida concezione patrilineare della famiglia (lignaggio). Con la crescita economica e demografica, indebolitasi la regalità e divenuta non revocabile la concessione del beneficio, il rango e il potere dipesero dalla trasmissione ereditaria degli allodi e dei feudi. Il lignaggio escluse dalla successione le donne, per le quali si istituì il regime della dote e rinsaldò la solidarietà dei maschi, titolari alla pari del diritto all'eredità. La casa aristocratica composta dal padre, dai figli e dai nipoti, con le loro rispettive mogli, rimaneva unita per due o tre generazioni, mentre le figlie erano allontanate con il matrimonio o la monacazione. Il primato agnatizio entrò negli ordinamenti delle città, condizionandone la vita politica. Nel XV secolo, l'importanza delle solidarietà di lignaggio venne meno, lasciando spazio alla famiglia coniugale e al primato del primogenito sugli altri fratelli, sancito in diritto dal maggiorasco e dal fidecommesso. Nel diritto romano originariamente ogni concessione da parte dell'autorità pubblica a persone private o a enti di una condizione di particolare vantaggio e favore. Si definirono così nei secoli III-IV anche le assegnazioni imperiali di terre ai veterani o ai barbari nelle regioni di frontiera, oppure quelle ai propri commendati da parte dei grandi proprietari fondiari. Tutte queste concessioni erano temporanee (precaria) e revocabili. Costituivano formalmente un dono elargito liberamente in ricompensa di un servizio reso, che andava restituito in caso di rottura del rapporto personale che l'aveva causato, per la morte o il venire meno della lealtà e fedeltà del beneficiario. Nella Francia carolingia dell'VIII secolo il beneficio andò sempre più accompagnandosi di fatto al rapporto di vassallaggio. La fedeltà e l'aiuto militare portati dal vassallo al signore diventavano il servizio e il legame personale in cambio del quale veniva elargito il beneficio, consistente per lo più in terre e possedimenti immobiliari. Nella costruzione e nell'evoluzione dello stato carolingio, carattere beneficiario assunse anche l'incarico dell'ufficio pubblico esercitato per delega del sovrano da conti e vassalli. Insieme alle terre, anche l'ufficio venne trasformandosi in beneficio personale e non revocabile, salvo che per grave colpa (fellonia). Nel IX e X secolo divenne trasmissibile agli eredi, e intorno a terre e uffici si strutturarono famiglie nobiliari dinastiche. Dall'XI secolo, il termine, ormai indissolubilmente unito al legame vassallatico, lasciò il posto a quello di feudo. Anche il beneficio ecclesiastico, tuttora presente nel diritto canonico, si sviluppò come istituto nell'alto Medioevo. Esso designa un insieme di beni di proprietà della Chiesa, costituitosi nel tempo grazie a legati e donazioni pubbliche e private, che si assegnava al titolare di un ufficio ecclesiastico (vescovo, canonico, parroco) per il suo sostentamento. Quando il donatore del complesso patrimoniale che costituiva il beneficio era anche il fondatore dell'ufficio (chiesa privata, altare privato, monastero), questi per lo più conservava a sé e ai suoi eredi il diritto di scelta del beneficiario. G. Petralia Nell'origine (germanica o forse celtica) il patrimonio del gruppo familiare o tribale. Con il diffondersi del beneficio e del feudo, dall'VIII secolo il termine passò a definire per contrasto la proprietà libera da diritti signorili. In Italia, dove gli allodi si mantennero particolarmente numerosi anche in piena età feudale, l'uso del termine cessò dopo il XIII secolo. In Francia invece scomparve solo con la rivoluzione. (o Edictum de beneficiis regni italici, 1037). Editto emanato dall'imperatore Corrado II il Salico col quale si riconobbe l'ereditarietà dei feudi minori a un secolo e mezzo di distanza dal capitolare di Quierzy (877). Promulgato in occasione della discesa di Corrado II in Italia, dove valvassori e mercanti si erano ribellati contro il vescovo di Milano Ariberto, alleato dei grandi feudatari laici ed ecclesiastici, rappresentò il tentativo di sgretolare il fronte feudale e di coalizzare al fianco dell'imperatore le forze della nobiltà minore. Confermando un orientamento diffuso, l'editto ebbe applicazione anche fuori d'Italia e accelerò il processo di disgregazione del sistema feudale, specie nelle zone in cui più vivace era il processo di rinascita delle città. Nel diritto romano più antico, l'insieme dei beni che la donna portava con sé nel passare dalla famiglia paterna a quella dello sposo. Essa aveva una duplice funzione: da un lato forniva l'indennizzo alla donna che perdeva i diritti all'eredità paterna, dall'altro costituiva un contributo alle spese derivanti al marito dal matrimonio. Anche in seguito, quando il matrimonio non segnò più l'uscita della donna dalla famiglia paterna, proseguì l'uso della dote come contributo alle spese matrimoniali. In questo senso l'istituto della dote fu sancito dal codice giustinianeo (VI secolo) che la rese giuridicamente obbligatoria; e alla disponibilità della dote da parte del marito vennero altresì fissati alcuni limiti che resero la dote simile a un usufrutto: in caso di divorzio infatti il marito doveva restituirla per intero. Il diritto intermedio mantenne in vita, senza sostanziali modificazioni, questo istituto. In Italia, seppure leggermente riformato, sopravvisse fino al 1975, quando, con la riforma del diritto di famiglia, fu non solo abolito, ma vietato anche in forme surrettizie. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. 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